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Quest'uomo non mente,
neppure con nobiltà...
Il mito della nobile menzogna 09-04-2013 CopyLeft: ecodellarete.netLa meritocrazia, di cui tutti si riempiono la bocca, è una "nobile menzogna ". Lo ha detto Socrate, per bocca di Platone, mica questo fesso di ecodellarete! E' un nobile mito perché serve a giustificare la diversità di rango sociale, e dunque la struttura gerarchica della società, ma è anche una menzogna, perché non accade mai che quando il "rampollo nasce misto di bronzo o di ferro " essi (i governanti) lo respingano "senza alcuna pietà tra gli artigiani o i contadini, assegnandogli il rango che compete alla sua natura ". Per questa ragione le rivoluzioni sono necessarie e inevitabili. I nuovi governanti, tuttavia, sono essi stessi asserviti ad un "ordine " ancora superiore, quello evocato da Platone , per bocca di Socrate , allorché gli fa dire «Allora parlerò, per quanto non sappia con che coraggio e con quali parole; e cercherò di persuadere innanzitutto i governanti stessi e i soldati, poi anche il resto della città, che essi avevano l'impressione di ricevere tutta l'educazione fisica e spirituale impartita da noi come in un sogno che accadesse attorno a loro, ma in realtà in quel momento erano plasmati ed educati nel seno della terra, essi, le loro armi e il resto del loro equipaggiamento già bell'è fabbricato; e quando furono interamente formati la terra, che era la loro madre, li portò alla luce. Per questo ora devono provvedere alla terra in cui vivono e difenderla come loro madre e nutrice, se qualcuno muove contro di essa, e considerare gli altri cittadini come fratelli nati anch'essi dalla terra ».
La domanda è: dov'è il "vero potere ", celato dal mito della democrazia? La risposta di questo fesso di ecodellarete è che il "vero potere " è là dove si racconta che, essendo gli uomini "plasmati ed educati nel seno della terra, essi, le loro armi e il resto del loro equipaggiamento già bell'è fabbricato " essi abbiano, per ciò, il dovere di difendere la loro madre terra prima dei loro concreti e reali interessi. E' l'interclassismo, bellezza!
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PLATONE, LA NOBILE MENZOGNA SULLA NATURALE DIVERSITÀ TRA GLI UOMINI
Nel terzo libro della "Repubblica", il racconto fenicio, anzi, "un qualcosa di fenicio", è un mito di fondazione, che si differenzia dai miti narrati dai poeti perché è artificiale e dichiaratamente falso, tanto che Socrate lo espone con esitazione e vergogna. La sua funzione è la legittimazione della gerarchia politica, prima per i governati e, dopo una generazione, anche per i governanti. Come i vasi, così gli uomini possono essere d'oro, d'argento o di bronzo e, a seconda del metallo di cui son fatti, devono occupare un ben preciso gradino della scala sociale (se sono d'oro, saranno governanti; se d'argento, saranno guardie; se di bronzo, lavoratori). Franco Trabattoni (Platone, Carocci, Roma, 1998, p. 188) sostiene che il contenuto del mito è anti-aristocratico: l'aristocrazia non è quella della nascita o della ricchezza, ma quella fornita da attitudini che ci sono date, e che possono essere in contrasto con la classe sociale che ci ha generato.
«Con quale mezzo potremmo allora far credere una genuina menzogna, di quelle che s'inventano al momento opportuno e di cui parlavamo prima, soprattutto ai governanti stessi, o altrimenti al resto della città?» «Quale menzogna?», chiese. «Nulla di nuovo», risposi, «solo una storia fenicia, già accaduta in passato in molti luoghi, come ci dicono in modo convincente i poeti; ma non so se sia accaduta o possa mai accadere ai giorni nostri, e del resto richiede una buona dose di persuasione per essere convincente». «Sembra che tu esiti a raccontarla», osservò. «Quando l'avrò raccontata», replicai, «la mia esitazione ti sembrerà ragionevole». «Parla pure», disse, «non avere paura». «Allora parlerò, per quanto non sappia con che coraggio e con quali parole; e cercherò di persuadere innanzitutto i governanti stessi e i soldati, poi anche il resto della città, che essi avevano l'impressione di ricevere tutta l'educazione fisica e spirituale impartita da noi come in un sogno che accadesse attorno a loro, ma in realtà in quel momento erano plasmati ed educati nel seno della terra, essi, le loro armi e il resto del loro equipaggiamento già bell'è fabbricato; e quando furono interamente formati la terra, che era la loro madre, li portò alla luce. Per questo ora devono provvedere alla terra in cui vivono e difenderla come loro madre e nutrice, se qualcuno muove contro di essa, e considerare gli altri cittadini come fratelli nati anch'essi dalla terra». «Non a torto», esclamò, «prima ti vergognavi a proferire questa menzogna!». «E ne avevo ben donde!», risposi. «Tuttavia ascolta anche il resto del mito. Voi cittadini siete tutti fratelli, diremo loro continuando il racconto, ma la divinità, plasmandovi, al momento della nascita ha infuso dell'oro in quanti di voi sono atti a governare, e perciò essi hanno il pregio più alto; negli ausiliari ha infuso dell'argento, nei contadini e negli altri artigiani del ferro e del bronzo. Dal momento che siete tutti d'una stessa stirpe, di solito potete generare figli simili a voi, ma in certi casi dall'oro può nascere una prole d'argento e dall'argento una discendenza d'oro, e così via da un metallo all'altro. Ai governanti quindi la divinità impone, come primo e più importante precetto, di non custodire e non sorvegliare nessuno così attentamente come i propri figli, per scoprire quale metallo sia stato mescolato alle loro anime; e se il loro rampollo nasce misto di bronzo o di ferro, dovranno respingerlo senza alcuna pietà tra gli artigiani o i contadini, assegnandogli il rango che compete alla sua natura . Se invece da costoro nascerà un figlio con una vena d'oro o d'argento, dovranno ricompensarlo sollevandolo al rango di guardiano o di aiutante, perché secondo un oracolo la città andrà in rovina quando la custodirà un guardiano di ferro o di bronzo. Conosci dunque un qualche sistema per convincerli di questo mito?» «Per convincere loro», disse, «assolutamente no; semmai per convincere i loro figli e discendenti e la posterità in generale». «Ma anche questo», dissi, «potrebbe essere un buon sistema per indurli a curarsi maggiormente della città e dei rapporti reciproci; capisco grosso modo il tuo pensiero. L'esito di questo progetto dipenderà da come lo diffonderà la fama; per quanto sta in noi, armiamo questi figli della terra e conduciamoli innanzi, sotto la guida dei governanti».
(Platone, Repubblica , III, 414 D)
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