Introduzione
Molti osservatori hanno paragonato la crisi iniziata nel 2007 a quella del 1929-33[1], avendo notato che esistono diverse somiglianze tra di esse. In realtà se guardiamo indietro nella storia del capitalismo ci accorgiamo che di grandi crisi come l’attuale ce ne sono state altre, oltre a quella del 1929-33. Per esempio ce ne fu una che scoppiò negli anni 1857-61. Un’altra si verificò nel 1836-38. Uno storico dell’economia potrebbe individuarne altre ancora, ma qui non sono interessato a una completa ricostruzione storica[2].
Quattro grandi crisi che si somigliano sono sufficienti per giustificare l’elaborazione di un concetto e di un modello che consentano di sviluppare una teoria capace di spiegare il fenomeno nella sua regolarità, e senza far ricorso all’ipotesi di shock esogeni eccezionali. Il concetto potrebbe essere appunto quello di “grande crisi”, intesa come evento non riducibile alle tipiche recessioni del normale ciclo economico e tuttavia rispondente e una ben definita logica che lo rende “eccezionale” solo per le dimensioni, non per le cause e le modalità.
Le caratteristiche salienti di una grande crisi sembrano essere sette. Innanzitutto l’intensità: c’è il crollo della produzione, i fallimenti a catena e un forte aumento della disoccupazione. Poi la pervasività, in quanto coinvolge tutti i comparti economici: industriale, commerciale, finanziario. In terzo luogo le grandi crisi sono precedute da una bolla speculativa. In quarto luogo, in tutte si verifica quella che viene chiamata trappola della liquidità. In quinto luogo tutte partono dal centro del sistema capitalistico mondiale e si espandono rapidamente all’intero mondo, presentandosi come crisi del sistema capitalistico globale. Così non consideriamo “grandi crisi” quelle che coinvolgono una specifica area geografica, anche se molto intense, come le recenti crisi del Sud-Est asiatico, dell’Argentina, del Messico, della Russia. In sesto luogo tutte durano abbastanza a lungo, più a lungo delle normali recessioni cicliche. Infine le grandi crisi danno la sensazione che c’è qualcosa di fondamentale che non funziona nel sistema. Sono percepite non come crisi solo finanziarie o solo produttive o solo locali, bensì come crisi del sistema capitalistico, e quindi contribuiscono alla diffusione della convinzione che non basta mettere una toppa per rilanciare la domanda aggregata o sostenere i mercati finanziari, ma sia necessario riformare qualcosa di essenziale nelle istituzioni economiche nazionali e internazionali, nelle strutture politiche, nel sistema dei pagamenti internazionali e negli apparati di egemonia ideologica.
Senonché la sensazione che vada cambiato qualcosa di fondamentale si diffonde tra gli scienziati, i giornalisti, l’opinione pubblica, ma non tra i governi. Da una parte i ceti dirigenti che hanno gestito le condizioni dalle quali la crisi è emersa non sono attrezzati intellettualmente per attuare i cambiamenti necessari. Dall’altra non si può pretendere che siano proprio loro a mettere in atto i provvedimenti che servono a cambiare il sistema da cui dipende il loro potere. Perciò il meglio che ci si può aspettare da essi è che cerchino di metterci appunto una toppa con politiche più o meno estemporanee, senza riuscire a risolvere i problemi di fondo.
La crisi che stiamo vivendo è indubbiamente una “grande crisi”. Si tratta di spiegarla, cioè di elaborare una teoria che ne dia conto come di un fenomeno tipico. Tenterò di abbozzare la spiegazione, e lo farò in quattro mosse. Con la prima presenterò un modello semplificato dei meccanismi bolla-crash-trappola e innesco-diffusione, un modello che può dar conto del processo di crisi come fenomeno comune a tutte e quattro quelle sopra richiamate. Ovviamente, pur avendo queste crisi qualcosa di fondamentale che le assimila, hanno anche delle specificità che le differenzia, delle peculiarità che sono connesse ai sistemi istituzionali prevalenti nelle diverse epoche. Con la seconda mossa quindi mi soffermerò sugli aspetti specifici della crisi attuale, le caratteristiche che la distinguono dalle altre. Questo farò nella prima parte del saggio. Nella seconda parte mi occuperò delle cause strutturali della crisi attuale. Con la terza mossa cercherò di capire le condizioni economiche e politiche dalle quali è emersa questa crisi, soffermandomi soprattutto su alcune caratteristiche della struttura del imperialismo globale. Infine cercherò di disegnare uno scenario dei possibili sbocchi della crisi in termini di riorganizzazione dei rapporti di forza tra i soggetti coinvolti a livello globale. [Continua a leggere su sinistrainrete.info...]
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